La De Tomaso Pantera viene lanciata nel 1970 grazie alla volontà congiunta di Alejandro De Tomaso, che deve rimpiazzare la bellissima ma obsoleta Mangusta, e di Ford, che supporta il produttore italo-argentino e che vuole cavalcare l’onda mediatica dei successi della GT40 per contrastare il successo domestico della Corvette.
Progettata da Giampaolo Dallara, disegnata da Tom Tjaarda e assemblata negli stabilimenti della carrozzeria Vignale la Pantera, grintosa e affilata coupé a due posti con motore centrale, viene consegnata a partire dalla primavera del 1971. In America è venduta direttamente da Ford attraverso la rete Mercury.
Rispetto alla vecchia Mangusta, De Tomaso e Ford prevedono volumi di produzione ben maggiori, e optano quindi per una carrozzeria monoscocca abbinata al V8 Ford Cleveland 351 da oltre 5,7 litri per 330cv scaricati sull’asse posteriore. Completano il quadro i freni a disco autoventilati, il cambio manuale ZF a 5 marce e il differenziale autobloccante.
Nell’agosto del 1972 debutta la Pantera L, con un allestimento migliorato e paraurti maggiorati neri, che in parte sporcano la purezza del bellissimo design iniziale, seguita nel ’73 dalla Pantera GTS, riconoscibile dalla vistosa carrozzeria con livrea bicolore e parafanghi allargati.
Le vendite della Pantera partono bene, nonostante una qualità dell’assemblaggio non proprio sensazionale dovuto alla produzione poco più che artigianale. A guastare i piani commerciali della berlinetta ci pensano la crisi petrolifera del 1973 e le nuove norme Usa in materia di sicurezza ed emissioni, che portano nel giro di qualche mese all’abbandono dell’avventura da parte di Ford.
De Tomaso insiste invece nel credere al futuro della vettura e incarica Tjaarda di ristilizzarla nuovamente; il designer lavora così a quella che, al salone dell’automobile di Los Angeles del 1974, viene presentata come Pantera II. Ma i piani per lo sviluppo della nuova vettura abortiscono rapidamente.
Ma De Tomaso non aveva fatto i conti sugli effetti della perdita del supporto di Ford che, oltre a fornire i motori e a curare le vendite oltreoceano, all’epoca è proprietaria dell’ex stabilimento Vignale, in cui si producono le carrozzerie della Pantera, e di Ghia, consulente per lo stile e la progettazione.
Tutto ciò porta ad un’impennata dei costi e di conseguenza del prezzo di listino della Pantera, i cui numeri di produzione passano da 40 esemplari a settimana a 1 o 2, e questo nonostante i successi sportivi della macchina, che colleziona diverse vittorie in pista grazie alla facilità e all’economia di elaborazione rispetto alla più blasonata concorrenza europea tra le sportive a motore centrale.
Ma l’argentino non demorde e, dopo un affinamento costante portato avanti per tutti gli anni 70, nel 1980 il telaio della Pantera viene completamente rivisto. Nasce la nuova versione GT5, seguita nel 1984 dalla GT5-S, entrambe caratterizzate da vistosi allargamenti, alettoni e appendici aerodinamiche che fanno il verso alle versioni che ancora mietono successi sui campi di gara.
Pur senza particolari guizzi a livello meccanico, la sportiva emiliana riesce così a tirare avanti fino al 1990, totalizzando 7258 esemplari e portandoci quest’anno a celebrare i cinquant’anni dal lancio e i trenta dall’uscita di produzione. Seguiranno 41 esemplari di una nuova Pantera “Si”, detta anche Pantera “90”, ristilizzata addirittura da Marcello Gandini, ma rappresentano oggi poco più di una curiosità per appassionati del modello.