Il cerchio della vita di Stirling Moss si è chiuso alle prime luci dell’alba della mattina di Pasqua, all’età di 90 anni.
Le prime notizie che filtrano d’Oltremanica parlano di morte per Coronavirus ma al momento rimangono solo le parole della moglie Susie rilasciate all’agenzia britannica AP: “Ha semplicemente chiuso gli occhi. È morto com’è vissuto; era un uomo meraviglioso”. Di certo, Sir Moss era malato da tempo. Nel gennaio 2018 aveva annunciato il ritiro a vita privata.
Al di là delle cause, oggi il motorsport mondiale perde una delle figure più iconiche e rappresentative perché entrato nell’immaginario collettivo: come lui Niki Lauda, Ayrton Senna o Tazio Nuvolari. Una dimostrazione? Un episodio che è capitato al sottoscritto, in una tiepida quanto piovosa mattina del luglio 2006, percorrendo la strada che mi portava al lavoro, a circa venti miglia a ovest di Londra, complice l’aver schiacciato un po’ troppo il piede sull’acceleratore, sono stato fermato dalla volante della Polizia di Sua Maestà; l’infrazione era di poche miglia orarie ma la reprimenda del poliziotto iniziava con un “Who do you think you are? Stirling Moss?”.
Stirling Craufurd Moss è nato a West Kensington, quartiere di Londra, il 17 settembre 1929. L’imprinting motoristico giunge dal padre che aveva avuto l’occasione di correre l’edizione del 1924 della 500 Miglia di Indianapolis classificandosi 14esimo. Il debutto nel mondo delle corse per Stirling avviene al volante di una Cooper 500, poi la Formula 3 e il debutto in Formula 1 nel 1950 su una HWM-Alta con la conquista del primo podio nel 1954 al Gran Premio del Belgio su Maserati. Nella stagione 1955 passa alla Mercedes-Benz, che porta in pista l’avveniristica W196, e inizia il confronto diretto con l’asso argentino Juan Manuel Fangio. Dal 1955 al ’58 è sempre secondo nel Mondiale F1 e sempre terzo nei tre anni successivi. Per questo è il “Re senza corona” o “il più grande pilota a non aver mai vinto il mondiale di Formula 1”. Terminerà la sua carriera nella prima metà degli Anni Sessanta dopo aver collezionato oltre 200 partecipazioni tra GP, gare Turismo e qualche sconfinamento persino nei Rally.
Ma se per Moss, l’iride di campione del mondo non si è mai posato sul suo casco per una serie (sfortunate) di circostanze e di combinazioni matematiche difficili da ripetere, ciò non significa che chi l’ha vinto al posto suo (leggasi Hulme, Hawthorn, Brabham e Phil Hill) fosse la classica spanna sopra al talento del pilota londinese. Moss non ha acceso i cuori dei tifosi come altri “re senza corona” come Peterson, Regazzoni o Villeneuve, ma ha saputo lasciare nella sua carriera perle di rara bellezza: come la vittoria alla Mille Miglia del 1955 che ancora oggi appare incredibile se si leggono le medie orarie che l’hanno portato alla vittoria. Al volante della Mercedes-Benz 300 SLR completa il percorso di 1.597 km in 10 ore, 7 minuti e 48 secondi, alla media di oltre 157 chilometri orari. Il tratto tra Brescia e Pescara lo conduce ad una media di 190 km/h, mentre il triangolo Cremona-Mantova-Brescia, tratto in cui si aggiudica il Gran Premio Nuvolari, l’inglese lo percorre in soli 39 minuti e 54 secondi alla media di 198,500 km/h. Juan Manuel Fangio, sulla stessa Mercedes, giunge sul traguardo di Brescia con un distacco abissale: 32 minuti.
Nel Lunedì di Pasqua del 1962 la sua carriera di eterno secondo s’interrompe: tracciato di Goodwood, Glover Trophy, Lotus la vettura. Le immagini sono drammatiche: Moss è incastrato nelle lamiere nel ristretto abitacolo della Lotus, ricoperto di sangue come un macellaio, con le gambe incastrate in una posizione innaturale. Segue un mese di coma, la parte sinistra del corpo immobile, paralizzata per mesi sei. Fine, stop.
Nel 2015, tornando a Brescia per celebrare il 60esimo anniversario della sua vittoria del 1955, riporta galla un ricordo dell’inizio della sua carriera. “Ero a Silverstone, nell’agosto del 1950, e vidi aggirarsi tra i box e le macchine parcheggiate un pallido e magro omino: era Tazio Nuvolari. Scese anche in pista in quei giorni con una Jaguar XK120, ma fu per una semplice prova. Decisi di avvicinarmi per conoscerlo: l’incontro fu breve, il tempo di due parole, una foto ricordo. Per mio padre e per molti inglesi, Tazio è stato “The Maestro”, il punto di riferimento tra i piloti anteguerra. Quell’incontro è stato un momento indimenticabile”.
Lorenzo Montagner
Photo Credit: Formulapassion.it, Gazzetta di Mantova.