Alla fine degli anni cinquanta il successo della rivoluzionaria Citroën DS è alle stelle. La casa francese se la batte con le tedesche e le italiane nel settore delle berline di alta gamma.
L’offerta di Citroën poi è valida anche nella fascia economica del mercato, in cui, all’estremo opposto della “Deesse” troviamo la 2CV. Resta quindi un vuoto importante da colmare: manca una coupé sportiva di classe, qualcosa per giocare alla pari con la concorrenza anche in quel settore in cui, tradizionalmente, i francesi sono più carenti.
Viene quindi avviato il progetto S (Sport), che prevede lo studio di una nuova sportiva. Un lavoro travagliato che coprirà alla fine oltre 10 anni a causa dell’inesperienza e della conseguente incertezza sulle scelte definitive da adottare. A partire dalla meccanica, per la quale si valuta sia una versione potenziata del 4 cilindri da 1,9 litri della DS, sia varianti a 6 e 8 cilindri, in fase di studio.
Vengono realizzati diversi prototipi, camuffati come versioni tagliate della DS o come Panhard 24, puntualmente riutilizzati, terminate le fasi di test, dal reparto corse della casa per alcune competizioni.
Nelle prove su strada si valutano inoltre i possibili abbinamenti di meccanica e sospensioni idropneumatiche, fiore all’occhiello della Casa, o si testano soluzioni tecniche inedite, come lo sterzo ad assistenza variabile e riallineamento automatico Diravi (“direction à rappel asservi”).
In parallelo procede la definizione dello stile: i primi bozzetti di Flaminio Bertoni sono datati addirittura 1955, ma l’italiano lascerà l’incarico per dedicarsi alla più popolare Ami 6, e il lavoro, a partire dal 1962, verrà portato avanti dal suo allievo migliore, Robert Opron.
Opron lavora sul concetto di una vettura assolutamente particolare, diversa da qualsiasi altra cosa si fosse visto all’epoca, come nella migliore tradizione Citroën. Lo stile di Opron, modificato e affinato più volte, alla fine ha la meglio anche sulla proposta realizzata da Giugiaro per Bertone.
La questione motori invece, dopo dieci anni dall’avvio del progetto, è ancora in alto mare. La svolta arriva nel 1968, quando la Casa francese acquisisce dalla famiglia Orsi il pacchetto di maggioranza della Maserati. Questo vuol dire libero accesso al know how meccanico ed ingegneristico, di primissimo livello, della Casa modenese. E la richiesta è chiara e imperativa: realizzare entro sei mesi un nuovo motore, dall’erogazione pastosa e morbida, che abbia almeno 150cv.
La risposta, piccata, arriva dall’allora progettista e direttore tecnico di Maserati, l’ingegner Giulio Alfieri, che risponde che per un compito simile gli bastano poche settimane. Alfieri si fa forte del fatto che un motore già c’è, è il V8 da 3 litri derivato da quello della Indy per equipaggiare le nuove “piccole”.
A guastare la festa ci pensa però la normativa fiscale francese che colloca quel propulsore oltre i 16 cavalli fiscali, limite massimo oltre il quale sono previsti pesanti maggiorazioni sulle imposte. Alfieri non si dà per vinto e in soli due mesi presenta il V6 da 2.7 litri che andrà ad equipaggiare la vettura di serie e che porterà a rinominare il progetto SM (Sport Maserati), sigla che diventerà poi il nome definitivo del modello.
Nel 1969 iniziano i test su strada definitivi e nel 1970 finalmente la macchina è pronta. Il debutto ufficiale avvenne il 10 marzo al Salone di Ginevra, dove pubblico e stampa apprezzano la vettura sia per lo stile, imponente ma moderno e filante, che per il comportamento stradale. La macchina infatti è veloce, aerodinamica e molto stabile, e si fa notare per l’originalità di diverse soluzioni.
Oltre al sistema Diravi già menzionato, spicca il frontale interamente carenato coi tripli fari autolivellanti, di cui i due più interni erano orientabili con lo sterzo, come sulle ultime DS. La carenatura frontale ospita anche la targa, e carenate sono pure le ruote posteriori, come sulla DS.
All’interno, una dotazione di lusso e quattro posti veri la rendono una granturismo decisamente desiderabile, capace di trasportare comodamente tutta la famiglia a 220 all’ora grazie al prestigioso bialbero made in Modena da 170 cv. Un motore che le permetterà di rimanere per oltre 12 anni la più veloce automobile a trazione anteriore prodotta in serie.