Dal 5 al 7 giugno prossimi torna uno degli appuntamenti automobilistici più attesi del motorismo storico: Alessandria, basso Piemonte e la Riviera Ligure faranno da cornice all’edizione 2020 del Gran Prix Bordino, evento di punta del Veteran Car Club Bordino di Alessandria. Un’occasione unica e imperdibile per riunire appassionati e collezionisti italiani e stranieri, i quali metteranno insieme un parterre di prestigiose auto d’epoca costruite prima del 1968.
Il 2020 è un anno importante perché la gara spegne ben 30 candeline nella sua versione rievocativa. Il Grand Prix Bordino è infatti la riedizione di una celebre gara del passato che, a sua volta, ricordava le gesta di un glorioso pilota, quel Pietro Bordino a cui oggi è intitolato anche il club organizzatore.
Il Circuito
Gli anni successivi alla Grande Guerra segnano una crescente passione per lo sport e per le nuove discipline motoristiche, tra le quali spiccano in particolare le competizioni automobilistiche, favorite anche dal lancio dei primi modelli espressamente pensati per le corse.
Nella primavera del 1924 ad Alessandria il neonato Automobile Club lancia, in concomitanza con la Fiera di S. Giorgio, la 1a edizione del Circuito Città di Alessandria, disegnato su un percorso di 32 km da percorrere 8 volte in senso antiorario, da Alessandria a Valenza, San Salvatore, Castelletto, per poi rientrare ad Alessandria. Un evento ufficiale, parte delle 14 gare italiane (59 europee) che si corrono nella stagione 1929: Circuito Bordino, Mille Miglia, Giro di Sicilia, Targa Florio, Coppa di Messina, Gran Premio di Monza, Gran Premio reale di Roma ,Circuito del Mugello, Coppa Abruzzo, Coppa delle Alpi, Coppa Acerbo, Gran Premio d’Europa, Circuito di Cremona, Circuito del Montenero.
La prima edizione, vinta da Masino su Fiat 501, porta infatti da subito il Circuito all’attenzione dell’automobilismo nazionale, rendendolo popolarissimo e richiamando ad ogni edizione i grandi piloti dell’epoca, da Bordino a Varzi, a Nuvolari, a Enzo Ferrari, spesso presente con la sua Scuderia.
Il Circuito si corre fino al 1930 ma dal 1928, in seguito alla morte del pilota, diventa il “Circuito Bordino”; dal 1931 al 1939 (con un salto nel 1935) e dopo la guerra, dal 1947 al 1950, si torna a correre su un tracciato ridotto a 8 km, da percorrere in senso orario. Ma chi era Pietro Bordino e perché, già agli albori del motorismo sportivo italiano, si decide di dedicargli un Gran Premio? Ripercorriamone la storia.
Il Personaggio
Pietro Bordino nasce a Torino il 22 novembre 1887, e diventerà uno dei piloti italiani più famosi degli anni venti, autore di gesta all’epoca leggendarie come il record di velocità sul miglio nel 1911, lanciando a oltre 200 km/h una poderosa Fiat S76 Record (28.000 cc per 300 cv) sul circuito britannico di Brooklands, la vittoria del Gran Premio d’Italia nel 1922, il decimo posto assoluto alla 500 Miglia di Indianapolis del 1925 e la partecipazione a ben 10 gare dell’American Championship Car Racing, organizzato dalla AAA negli Stati Uniti d’America. Ma andiamo per ordine.
Quella di Pietro Bordino è una storia segnata dall’astro dell’automobilismo sin dall’infanzia. A soli dodici anni lo troviamo nel cortile dei F.lli Ceirano a chiacchierare con due giovanotti, più grandi di lui, che rispondono al nome di Felice Nazzaro e Vincenzo Lancia. I due lo prendono in simpatia e gli trasmettono la passione per la meccanica e l’automobilismo, che in quegli anni sta muovendo i primi passi e che proprio in Torino trova il suo cuore pulsante.
Adolescente, il giovane Pietro è apprendista in Fiat, mentre Lancia, già allora pilota ufficiale affermato, lo porta spesso e volentieri con sé, introducendolo nel “jet set” motoristico cittadino e, in breve tempo, facendosi affiancare nelle corse: Targa Florio, Coppa Gordon Bennet, Gran Prix de France, Coppa Florio, Coppa dell’Imperatore. Opportunità preziose in cui Pietro cresce sia professionalmente che caratterialmente. In una di queste occasioni ha modo, nel 1908, di incontrare tale Ettore Bugatti il quale promette che, una volta divenuto costruttore, gli avrebbe affidato il volante di una macchina da gran premio.
La prima vittoria
Nello stesso anno Bordino conquista il primo sedile di guida tutto suo, alla cronoscalata Chateau-Thierry dove, con una Fiat 24 HP, vince ufficialmente la sua prima gara. Dopodiché corre in maniera discontinua, alternando auto e moto fino al 1912, quando Vincenzo Lancia, divenuto costruttore, gli affida una vettura per la Targa Florio. Per Bordino è una ribalta importante: termina in ottava posizione assoluta a causa di un errore di percorso, ma si fa comunque notare chiudendo la prima tappa in terza posizione alle spalle di piloti “senior” come Marsaglia e Nazzaro. Dopo la parentesi bellica Pietro torna a correre in moto, collezionando vittorie e imponendosi da subito come il pilota da battere.
Nel mentre mantiene il suo posto alla Fiat e, quando nel 1921 la Casa torinese ritorna alle corse, riesce ad ottenere un ingaggio, propedeutico alle prime trasferte americane stimolate dall’amico Ralph De Palma. Siamo all’alba dei ruggenti anni Venti e nell’immaginario collettivo viaggiare e correre sulle piste americane guidando un’auto italiana è un sogno incredibile oltre che un motivo di orgoglio per la nazione. Bordino vince la 250 Miglia di Los Angeles e resta in America per alcuni mesi, guadagnandosi il nomignolo di “Diavolo Rosso”, coniato dal giornalista Lambert Sullivan in omaggio alle sue vittorie, alla sua guida spettacolare e allo sgargiante maglione che indossa in gara.
Nel 1922 Pietro torna a correre in Europa e, sul nuovissimo autodromo di Monza, viene organizzato il Gran Premio Vetturette: è primo. La settimana seguente, sullo stesso circuito, è il turno dell’atteso Gran Premio d’Italia. Al via, sotto un brusco temporale, ci sono tutti i grandi nomi, inclusi i debuttanti fratelli Maserati. Bordino, su Fiat 804/404, conclude gli 80 giri del tracciato a 139,855 di media, coprendo gli 800 km in 5 ore e 43’ e consacrandosi definitivamente come il miglior pilota del momento.
Il rovescio della medaglia
Ma il mondo delle corse, si sa, non è fatto solo di gioie. Lunedì 27 agosto 1923, durante le prove per il 2° Gran Premio d’Italia, Bordino gira soddisfatto col muletto. Preso dal classico dubbio dell’ultimo minuto, propone all’amico e collega Enrico Giaccone di affiancarlo per gli ultimi cinque giri, alternandosi al volante. A poche centinaia di metri dal termine delle prove, la vettura perde la ruota anteriore destra, diventa ingovernabile, si rovescia e prende fuoco. Pietro riporta alcune ferite, mentre per Giaccone non c’è nulla da fare. Al trauma segue un altro trauma: poco dopo, sempre durante le prove a Monza, Ugo Sivocci si schianta con la sua Alfa Romeo. Pietro, nonostante parta al comando della gara, è costretto a cedere e a ritirarsi, a causa dei postumi dell’incidente e, probabilmente, a causa di un morale ai minimi storici.
Tra il 1925 e il 1927 l’asso torinese torna a correre ancora in America, partecipando a diverse corse fra cui la 500 Miglia di Indianapolis. Il pretesto per tornare in Europa arriva ancora col Gran Premio di Milano, dove la Fiat schiera la sua prima vera vettura da Gran Premio, la 806 a dodici cilindri con compressore capace di sviluppare 187 cavalli. Per lui è una vittoria tanto trionfale (segna anche il record sul giro) quanto amara: il giorno seguente Fiat annuncia il suo definitivo ritiro dalle competizioni, avendo raggiunto lo scopo di chiudere “in bellezza”.
Bugatti
È in questo momento che il destino torna a bussare alla porta del pilota torinese. Sono passati ben vent’anni dalla promessa di Ettore Bugatti il quale, da uomo di parola, offre al “Diavolo Rosso” una macchina per la stagione 1928. Il debutto a bordo della nuova vettura avviene a Verona, durante un piovosissimo e fangoso Circuito del Pozzo; Bordino per la prima volta affronta l’astro nascente Tazio Nuvolari, che ha la meglio sul torinese a causa del cedimento di una sospensione.
Tra i due nasce un’accesa rivalità, che cresce, la settimana seguente, con la 2a edizione della Mille Miglia, dove anche il pubblico si divide tra i sostenitori del “Diavolo Rosso” e quelli del “Mantovano Volante”. Per questo, domenica 16 aprile 1928, Pietro vuole provare con una settimana di anticipo il circuito di Alessandria, alla quale è iscritto dalla Bugatti assieme a Nuvolari e Varzi; sta girando in prova, come tante altre volte, affiancato dal meccanico Gianni Lasagne quando, nei pressi dell’abitato di S. Michele, investe un cane uscito improvvisamente di corsa da un cascinale. La bestiola finisce fra le ruote bloccando lo sterzo della Bugatti che inizia a sbandare, volando nel fiume Tanaro. Pietro Bordino muore abbracciato al volante. Il meccanico, a seguito di una grave frattura cranica, lo raggiungerà poco dopo.
L’infausto evento conquista le prime pagine di tutti i giornali e l’Automobile Club Alessandria decide immediatamente di dedicare al pilota torinese la corsa, che sarà vinta proprio da Nuvolari, dopo un acceso duello col compagno di squadra Varzi. Su La Domenica Sportiva, settimanale illustrato della Gazzetta dello Sport, Giovanni Canestrini, uno dei “moschettieri” creatori della Mille Miglia, scrisse di lui: “Pietro Bordino era un purosangue. Sapeva sollevare fremiti di entusiasmo e di ammirazione con quel suo stile personalissimo e puro di perfetto velocista. Noi abbiamo avuto e abbiamo guidatori magnifici, velocisti arditi, ma nessuno può paragonarsi a Pietro Bordino nella compostezza e nella signorilità di stile che egli sapeva mantenere alle più forti velocità allorquando tutto concorre a disunire la manovra. Egli affrontava le curve con grande maestria come se la sua vettura corresse su perfetti binari. Non per nulla i tifosi parlavano di ‘curve alla Bordino’. In lui la velocità non era un prodotto del rischio o della temerarietà , ma la conseguenza della sua grande arte di guida. Proprio come in ogni espressione genuina di arte, egli arrivava alla velocità non attraverso una somma di sforzi, ma attraverso la semplicità lineare. Ed era questa sua chiarezza di stile che trascinava ed entusiasmava la folla”.
Oggi Pietro Bordino riposa al Cimitero Munumentale di Torino.
Michele Di Mauro