Negli anni d’oro della produzione automobilistica italiana, i carrozzieri hanno interpretato e tradotto sapientemente in forme le aspirazioni di almeno tre generazioni di appassionati. Due appuntamenti, a novembre, creano una buona occasione per riflettere su altrettanti grandi maestri e sul loro contributo alla società del novecento.
Partiamo da una notizia: le tre concept BAT, avveniristiche Alfa Romeo carrozzate Bertone oggi residenti in California, tra qualche giorno saranno in Europa e, dal 20 al 23 Novembre, si potranno ammirare a Londra, più precisamente a Berkeley Square. Un ottimo pretesto per pianificare un po’ di shopping natalizio all’ombra del Big Ben.
Facciamo a questo punto un ripassino e ripercorriamo brevemente la storia del Progetto BAT. Siamo all’inizio degli anni 50 quando l’Alfa Romeo contatta Nuccio Bertone per commissionargli tre veicoli sperimentali sui quali effettuare ricerche relative agli “effetti di trascinamento” su un veicolo. All’epoca a capo del design della Carrozzeria Bertone c’è un autentico maestro, Franco Scaglione, che assume personalmente l’incarico di disegnare le vetture; il compito, arduo, prevede il disegno e la progettazione di veicoli con il più basso coefficiente di resistenza aerodinamica possibile; da qui il nome del progetto, riassunto nell’acronimo BAT, che sta per “Berlinetta Aerodinamica Tecnica”. La base su cui realizzare i prototipi è quella dell’Alfa Romeo 1900, vettura moderna e brillante ma non esattamente aerodinamica. Per contro, di buono la berlinona del biscione porta in dote un potente motore a quattro cilindri da oltre 90 cavalli abbinato a un cambio a cinque rapporti, in grado di lanciare teoricamente le nuove vetture oltre la soglia dei duecento orari.
Con un occhio allo spazio
Il primo risultato del programma è la BAT 5, svelata al Salone di Torino del 1953: un oggetto a dir poco avveniristico, in cui emergono tutto il talento e l’esperienza di Scaglione, in quale traccia linee tanto avanzate e funzionali quanto eleganti: un requisito, quest’ultimo, non contemplato nelle specifiche del progetto ma imprescindibilmente insito nel tratto, impareggiabile, di Scaglione. Per quanto complessivamente ricca di presenza scenica e di quelle influenze aerospaziali tanto di moda all’epoca, la vettura nasce, come detto, con scopi puramente funzionali: a partire dalla sagoma del frontale, infatti, il corpo vettura mira ad annullare le turbolenze aerodinamiche alle alte velocità, incluse le resistenze supplementari generate dal girare delle ruote; il grande parabrezza e la finestratura inclinata, oltre a ridurre la superficie di attrito con l’aria, contribuiscono a contenere la massa complessiva della vettura, che supera di poco la tonnellata. Eventuali carenze di stabilità alle alte velocità dovute a un peso tanto contenuto sono scongiurate dall’effetto di due vistose pinne caudali arricciate verso l’interno. Il coefficiente di penetrazione aerodinamica misurato sulla vettura è pari ad appena 0.23, valore di riferimento ancora oggi; basta dare un’occhiata al panorama delle vetture in vendita nel 1953 per rendersi conto di quale impatto possano aver avuto le forme e i numeri della BAT 5 sul pubblico al momento della presentazione.
Neanche il tempo di far spegnere l’eco della presentazione della 5 che, al Salone dell’Auto di Torino dell’anno seguente, debutta la BAT 7: di fatto una naturale evoluzione del modello precedente, le cui caratteristiche più ardite vengono ulteriormente estremizzate, grazie all’applicazione di alcune soluzioni aerodinamiche sviluppate dalla stessa Carrozzeria Bertone parallelamente a quelle di Alfa Romeo. I risultati più evidenti si ritrovano nel frontale, in cui i fanali sono spostati vicino a una protuberanza centrale che, all’occorrenza, punta verso il basso per illuminare la strada, e le due pinne posteriori ancor più vistose, ricurve e sottili, per un Cx finale portato all’incredibile valore di 0.19.
La terza e ultima vettura realizzata nell’ambito del progetto BAT arriva sempre al Salone dell’Auto di Torino, stavolta nel 1955. Rispetto ai due prototipi precedenti, la BAT9 nasce con un obbiettivo differente, ovvero mostrare le possibili applicazioni dei risultati del progetto BAT nella produzione di serie. Per questo, pur rappresentando una chiara evoluzione stilistica dei modelli precedenti, la BAT 9 risulta più sobria, raffinata, meno estrema e “aliena”; le pinne si riducono, rientrando nei canoni dettati dallo stile americaneggiante del periodo, mentre il frontale riceve un trattamento più tradizionale, con tanto di fari e di classico scudetto Alfa Romeo.
La storia delle BAT si interrompe a questo punto per oltre cinquant’anni, fino a quando, nel 2008, Bertone presenta al Salone di Ginevra la BAT 11, realizzata sulla meccanica dell’Alfa Romeo 8C Competizione. Un esercizio di stile stavolta senza particolari valenze sperimentali, piuttosto un’occasione per ricordare tre dei più straordinari e avveniristici prototipi mai realizzati (per l’epoca).
L’altra news
Il MAUTO, Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, ha giocato d’anticipo sulla celebrazione, in programma per il prossimo anno, del centenario della nascita di Sergio Scaglietti, allestendo una straordinaria mostra aperta il 31 ottobre scorso e in calendario fino al prossimo 19 gennaio. Al MAUTO sono già visibili nove favolose vetture selezionate tra le tante progettate e costruite dalla celebre carrozzeria, più due modelli di stile inseriti in un percorso di approfondimento relativo alla collaborazione fra Scaglietti e Ferrari. A parte una certa assonanza nel cognome, il maestro condivide col designer di cui si è parlato sopra una caratteristica essenziale: una mano incredibilmente felice e raffinata nel definire forme e proporzioni delle carrozzerie automobilistiche, riuscendo a racchiudere, in uno stile asciutto e personale, la quintessenza dell’eleganza, della funzionalità, della sportività raffinata.
Sergio Scaglietti, “una leggenda della storia dell’automobile” secondo il presidente del MAUTO Benedetto Camerana, è senza dubbio uno dei più importanti artefici del successo delle berlinette Ferrari a cavallo tra gli anni 50 e 70; “un brillante e intuitivo inventore di forme metalliche – prosegue Camerana – che rivestono quegli organismi meccanici destinati a raggiungere altissime performance sportive. Molti hanno definito Scaglietti un grande sarto di automobili: come i veri sarti ha interpretato al meglio il movimento delle forme incorporate nelle sue ideazioni”. Un dato su tutti per riassumere il valore di un uomo come Sergio Scaglietti: dopo 25 anni di onorato servizio per la casa del cavallino ma non solo, nel 1975 la sua officina viene rilevata dalla stessa Ferrari che, nel 2004, gli dedica addirittura un modello, la 612 Scaglietti appunto.
Dove sono, oggi, i carrozzieri?
Quelli che abbiamo descritto sono due eventi che, nel mese di novembre, non mancheranno di incuriosire e attrarre appassionati da tutto il globo. Due momenti che, se necessario, accendono ancora una volta i riflettori su “un mondo che è stato”: un mondo felice, carico di aspettative, di ambizioni, di ottimismo, in cui il futuro sembrava promettere tanto e subito; proiettato, come le BAT di Bertone, verso nuove sfide che sapevano di tecnologia, di imprese spaziali, di conquiste tecnologiche e umane che erano un po’ di tutti. Le imprese dei campioni sportivi, degli esploratori, degli scienziati e perché no, dei centri di ricerca automobilistici, all’epoca le sentivamo anche un po’ nostre. Scaglione e Scaglietti, per gli appassionati dell’auto, erano questo, e sono oggi ricordati per questo: autentici maestri, talenti geniali che, probabilmente senza rendersene del tutto conto, ci hanno regalato una bella dose di sano ottimismo e di fiducia nell’umanità. Gente pratica, tecnici che, disegnando e realizzando automobili, hanno reso un po’ più belle le vite di noi appassionati. Oggi, ricordandoli in un momento storico decisamente meno poetico, in cui le nuove generazioni guardano a questo mondo con un disinteresse drammaticamente crescente, in cui le auto promettono di guidarsi da sole, di non far rumore e di assomigliare sempre meno a qualcosa di desiderabile e sempre più a “oggetti”, non riusciamo a fare a meno di chiederci: dove sono, oggi, i carrozzieri?
Michele Di Mauro