Il 31 gennaio 1907 il giornale francese Le Matin lancia la gara automobilistica Pechino-Parigi con lo scopo di dimostrare la validità dell’oggetto “automobile”come mezzo di trasporto in grado di competere, sulle grandi distanze, addirittura a treno e transatlantico. L’annuncio, lapidario, recita: «Quello che dobbiamo dimostrare oggi è che dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa ed andare dovunque. C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?»
Togliamoci subito i dati accademici: Luigi Marcantonio Francesco Rodolfo Scipione Borghese, X° Principe di Sulmona, nasce l’11 febbraio 1871 a Castello di Migliarino da Paolo Borghese, IX° Principe di Sulmona e dalla contessa ungherese Ilona Apponyi. Terminati gli studi in scienze fisiche e matematiche a Roma, nel 1892 diventa sottotenente di artiglieria presso l’Accademia militare di Torino. In seguito subentra al padre nella conduzione degli affari di famiglia, che spaziano dagli investimenti immobiliari alla gestione di tenute sparse per la penisola.
Instancabile e curioso esploratore ed alpinista, compie diversi viaggi in Asia dal Golfo Persico al Pacifico, visitando Siria, Mesopotamia e Persia, ed è questo l’aspetto di lui che ci interessa di più. L’impresa per cui passa alla storia è infatti legata a un viaggio lunghissimo, oltre 16.000 chilometri: parliamo della sua vittoriosa partecipazione al raid Pechino-Parigi del 1907, compiuta su un’Itala 35/45 HP assieme al suo chauffeur e meccanico di fiducia Ettore Guizzardi e al celebre giornalista Luigi Barzini senior, inviato del Corriere della Sera.
Il raid Pechino-Parigi
L’impresa, che sarebbe ardita ancora oggi, oltre un secolo fa era ai limiti del fantascientifico… non è difficile infatti immaginare in che condizioni fosse la rete viaria di allora. La gara non era una competizione di velocità, non vi erano regole, non era previsto alcun tipo di assistenza da parte dell’organizzazione, né vi era alcun premio all’arrivo, se non la soddisfazione di aver completato un’impresa epica. In realtà non c’era neppure un percorso definito, dato che la quasi totalità del tragitto non contemplava strade carrozzabili. Eppure alla proposta aderiscono una quarantina di equipaggi, composti per la maggior parte di facoltosi nobili europei, o comunque di personaggi in grado di versare una quota di partecipazione di 2.000 franchi, fissata proprio per evitare adesioni farlocche; tale somma sarebbe stata restituita solo a coloro che si fossero effettivamente presentati alla partenza.
Il principe Scipione Borghese, forte delle sue esperienze da esploratore e grande viaggiatore, è l’unico partecipante italiano ad iscriversi, con una vettura Itala 35/45 HP, da far condurre ad Ettore Guizzardi, suo autista di fiducia; grazie a un accordo col Corriere della Sera, il principe ottiene poi che Luigi Barzini, all’epoca già noto inviato di guerra, si unisca all’equipaggio per testimoniare quella che si preannuncia un’avventura senza precedenti. La partenza è fissata per il 10 giugno alle ore 8, e dei numerosi equipaggi iscritti si presentano solo in cinque: un triciclo Contal e due De Dion-Bouton dalla Francia, una Spyker dall’Olanda, un’Itala dall’Italia.
La superiorità italiana
Grazie alle esperienze maturate nei suoi viaggi in Asia, rispetto agli altri partecipanti il principe è più meticoloso nell’organizzare la spedizione, ad esempio pianificando attentamente i rifornimenti di benzina e olio lungo il percorso (le stazioni di servizio erano ancora inesistenti), facendo installare dei serbatoi carburante maggiorati (due da 150 litri, disposti lateralmente, oltre agli 83 di quello di serie, per un’autonomia complessiva di oltre 1000 km), sostituendo i parafanghi della vettura con assi piane da utilizzare come rampe in caso di ostacoli o pantani, e montando, cosa non usuale all’epoca, pneumatici anteriori e posteriori delle stesse dimensioni in modo da renderli intercambiabili e dimezzare, quindi, quelli di scorta. Borghese fa aggiungere anche un serbatoio per l’acqua e uno per l’olio (da 50 litri ciascuno) e dietro al sedile posteriore fa montare un cassone per attrezzi e pezzi di ricambio. Attenzioni tutt’altro che eccessive dato che la carovana si accinge ad attraversare regioni aspre, brulle, deserte e sperdute attraverso Cina, Mongolia, Siberia e Russia: lande desolate mai solcate prima da un’automobile e quindi prive anche di una semplice mulattiera ma ricche, invece, di pantani, insabbiamenti e guadi.
Tanti accorgimenti vanno a valorizzare la scelta più importante, quella del veicolo più adatto: su tale dilemma si infiammano accese discussioni tra gli esperti (per quanto lo si potesse essere nel 1907). Per tutti gli equipaggi la scelta pare unanime: serve un veicolo leggero e poco potente, dalla meccanica semplice e poco “stressata” a tutto vantaggio dell’affidabilità e della durata. L’unico che dissente è proprio Borghese, che preferisce invece un veicolo parecchio più pesante ma anche parecchio più potente, ben 45 cavalli! Una soluzione che, alla prova dei fatti, gli darà ragione.
La scelta del Principe
La decisione finale del Principe cade infatti sulla Itala 35/45 HP in virtù dell’ottima impressione che il modello aveva dato classificandosi terza alla recente Targa Florio. Una vettura resistente, veloce, potente e soprattutto capace di accollarsi oltre 600 kg di peso aggiuntivo (da 1370kg a quasi 2 tonnellate) riuscendo comunque a filare a 70 km/h, contro gli iperbolici 95 km/h del modello “di serie”.
Itala è al tempo un’azienda giovane, fondata sul finire nel 1903 a Torino, ma che per lungo tempo sarà la seconda fabbrica italiana per volume produttivo, grazie ad esportazioni in tutto il mondo e ad alcuni clineti importanti, tra cui diversi capi di Stato. Con tre vetture tipo “100 HP”, la Itala sbanca alla Settimana Automobilistica Bresciana del settembre 1905, conquistando la Coppa Salemi, la Coppa d’Italia e la prestigiosa Coppa Florio e battendo un’agguerritissima concorrenza nazionale e straniera, incluse le potenti FIAT 120 HP pilotate da Lancia, Cagno e Nazzaro, considerato imbattibile al tempo. Un’automobile con le credenziali giuste, insomma.
Tornando alla vettura del Raid, l’autotelaio 35/45hp, pesante già 12 quintali a vuoto, nasce per allestire vetture eleganti e imponenti; il motore, un poderoso 4 cilindri a valvole laterali da ben 7433 cc, gira basso e potente, raffreddato ad acqua e con lubrificazione mista (sia a caduta che a sbattimento) e alimentato da un moderno carburatore che richiede poche regolazioni, al contrario del gioco valvole da registrare con frequenza. La trasmissione è affidata a un cambio a quattro marce più retromarcia con frizione a dischi multipli in acciaio e asse cardanico per la trasmissione del moto alle ruote posteriori; una soluzione discussa all’epoca, ma sdoganata proprio dalla vittoria alla Pechino-Parigi, che segna un punto contro chi sostiene la superiorità del sistema a catena. Il tutto è montato su un robusto telaio a longheroni stampati e traverse chiodate, sospeso su balestre semiellittiche su entrambi gli assi. I freni (a pedale e a mano) agiscono, come è consuetudine al tempo, sulle sole ruote posteriori.
Il fido Ettore
Incaricato di gestire cotanta tecnologia è Ettore Guizzardi, più volte pubblicamente elogiato da Scipione Borghese quale elemento più importante del gruppo, in quanto senza le sue approfondite competenze tecniche davanti alle diverse rotture meccaniche, i due non avrebbero probabilmente mai completato l’impresa. Di importanza pari, se non superiore, a quella della sua esperienza come meccanico, è la grande capacità del Guizzardi di improvvisare in ogni situazione, spesso riuscendo a coinvolgere pastori e contadini incrociati lungo il percorso a dare una mano, incuriositi dai tre italiani e dal loro singolare veicolo, del quale invano cercano di capire dove sia collocato il cavallo.
Ettore Guizzardi è un appassionato di meccanica da sempre. Da bambino spesso accompagna nei suoi viaggi in locomotiva il papà Enrico, tra i primi macchinisti della storia delle nostre ferrovie. Le stesse ferrovie che lo strapperanno alla vita terrena, a causa di un brutto deragliamento nel quale Enrico non sopravvive, mentre Ettore se la cava solo con alcune ferite. Una volta ripresosi, il giovane viene assunto come autista, ed è in tale veste che viene notato da Scipione Borghese, che lo indirizza alla FIAT prima, per permettergli di studiare da vicino i motori a scoppio, e successivamente alle officine Ansaldo di Genova. Il ragazzo diventa così il suo chauffeur di fiducia, al punto da meritarsi l’incarico di accompagnatore per il raid.
Il cronista
Terzo moschettiere, Luigi Barzini è “l’aggiunto”, il giornalista che si ingegna ad inviare i propri pezzi ogni volta che trova una stazione telegrafica, riuscendo a creare grande attesa e coinvolgimento nel pubblico dei lettori europei del Corriere della Sera e The Daily Telegraph, sempre più numerosi e ansiosi di sapere e capire come i concorrenti stiano procedendo e come riescano, giorno dopo giorno, ad affrontare le avversità e i guasti. Quella del Barzini è una sorta di telecronaca a metà, diremmo oggi, tra la soap opera e il reality, che fa sì che l’arrivo a Parigi del nostro equipaggio diventi un autentico trionfo a cui accorrono giornalisti, cineoperatori ed una folla di appassionati festanti: alle 16.15 del 10 agosto 1907 sono trascorsi esattamente due mesi dalla partenza di Pechino; gli equipaggi sono vincitori con uno spaventoso vantaggio di ben venti giorni sui secondi classificati. L’equipaggio di Charles Godard sulla sua Spyker arriva infatti a destinazione solo il 30 agosto, mentre le vetture francesi accumulano un ritardo tale che neppure se ne ricorda l’arrivo, mentre il quinto team, a bordo del precario triciclo Contal, viene soccorso e salvato da alcuni nomadi mongoli, mentre il veicolo finisce disperso per sempre nel deserto.
Barzini, al suo rientro in Italia, scrive un libro sulla sua esperienza, “Da Pechino a Parigi in sessanta giorni – La metà del mondo vista da un’automobile”, pubblicato nel 1908 in ben 11 lingue. Un’avventura pionieristica incredibile, ricordata nell’edizione rievocativa del centenario, tenutasi nel 2007, e ancora oggi difficile da dimenticare.
Dove vedere l’Itala
I suoi protagonisti sono ovviamente scomparsi, ma la leggendaria Itala vive ancora, ed è custodita nella collezione del MAUTO, il Museo dell’Automobile di Torino, che ne cura in maniera impeccabile la conservazione. La macchina ha ripercorso, proprio in occasione del centenario, il famoso raid, con la spedizione italiana Overland, stavolta però in senso inverso, da Parigi a Pechino. Il MAUTO la esporrà alla prossima edizione di Auto e Moto d’Epoca alla Fiera di Padova, dal 24 al 27 ottobre prossimi.
Michele Di Mauro