La Legge di Bilancio 2019 è passata, in maniera piuttosto burrascosa, anche alla Camera. È fatta. Come vi avevamo anticipato, la notizia più succosa per i collezionisti di auto storiche è che, dopo la parentesi del governo Renzi, tornano le agevolazioni per le ormai famigerate “ventennali”, le vetture con età compresa tra 20 e 29 anni.
Ma tornano in una formula differente: non più equiparate alle cosiddette trentennali, ma con un’esenzione fiscale ridotta, ovvero la riduzione del 50% sulla tassa di possesso. Al comma 6 dell’articolo 619 del maxi-emendamento si legge: “All’articolo 63 della Legge 21 novembre 2000, n. 342, dopo il comma 1, sono inseriti i seguenti: 1-bis. Gli autoveicoli e motoveicoli di interesse storico e collezionistico con anzianità di immatricolazione compresa tra i 20 e i 29 anni se in possesso del certificato di rilevanza storica di cui all’articolo 4 del decreto ministeriale 17 novembre 2009, rilasciato dagli enti di cui al comma 4 dell’articolo 60 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e qualora tale riconoscimento di storicità sia riportato sulla carta di circolazione, saranno assoggettati al pagamento della tassa automobilistica con una riduzione pari al 50%. 1-ter. L’onere derivante dal comma 1-bis è valutato in 2,05 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2019”.
Gli enti e i costi
Per quanto l’articolo paia scritto direttamente dalle mani dell’ASI, che pure ha responsabilità dirette nella compilazione del comma, va ricordato per completezza di informazione che gli enti preposti alla certificazione dei veicoli “storici” sono, oltre all’Automotoclub Storico Italiano, anche i registri di marca, quali il RIAR – Registro Italiano Alfa Romeo, il Registro Italiano Fiat, il Registro Storico Lancia e, per le moto, l’FMI.
Nel caso di ASI, che tra tutti è sicuramente l’ente che rilascerà la maggior parte dei certificati, avvantaggiato sia dal maggior numero di iscritti che dalla capillare presenza sul territorio, farsi rilasciare il Certificato di Rilevanza Storica ha un costo esiguo, 20 euro una tantum, a fronte dell’iscrizione a un club federato almeno per l’anno in cui lo stesso viene richiesto e rilasciato; l’iscrizione minima annuale per un club federato ASI è di 100 euro. Una volta ottenuta l’agognata certificazione, bisognerà recarsi in motorizzazione per richiedere il tagliando da applicare al libretto di circolazione, attestante la storicità dell’auto; il tutto si fa con un paio di bollettini postali per un totale di circa26 euro.
Infine, le regioni che avevano mantenuti i benefici fiscali durante il governo Renzi, manterranno inalterata la situazione.
Il nostro parere
Premesso che la vocazione dell’italiano medio è di fare polemica un po’ su tutto, ad oggi è curiosa e divisa l’accoglienza riservata dal pubblico alla notizia: mentre la maggior parte dei collezionisti pare mediamente soddisfatto del risultato (certo, i 26 euro di bollo di qualche anno fa sono lontani, ma è comunque meglio di niente, e si accorciano le distanze tra regione e regione), la risposta di molti addetti ai lavori è tutt’altro che positiva: misure troppo generaliste non fanno bene al settore e vanno in controtendenza con la politica ecologista sostenuta da questa stessa manovra finanziaria. Altri sostengono poi che il provvedimento sia inutile perché i costi di ottenimento e trascrizione del CRS annullino, di fatto, i vantaggi fiscali.
Noi non ci sentiamo di essere così drastici.
Anzitutto perché riteniamo che ciò che rende una vettura di interesse storico e collezionistico non è né il modello né l’anno di costruzione, ma lo stato di conservazione del mezzo e l’uso che se ne fa. Una lista chiusa non può definire a prescindere il valore storico di un mezzo, né la “quantità di passione” che il proprietario ripone in esso. Un’utilitaria modesta e di larga diffusione, se perfettamente conservata e magari con basso chilometraggio, usata solo per i raduni, rappresenta e preserva il patrimonio automobilistico storico meglio di una sportiva blasonata ma pasticciata e trascurata o di una station wagon prestigiosa da nuova ma oggi guidata per andare al lavoro in cantiere o fare legna in campagna.
Secondo, questa misura “light” per le “ventennali” rende appetibile la conservazione delle cosiddette “youngtimer”, probabilmente il settore ultimamente più vivace del motorismo storico, senza renderle eccessivamente convenienti per i tanto temuti “furbetti” del bollo: per chi non vuol pagare le tasse, una vettura del 1989 è decisamente più allettante, e può essere altrettanto pratica e affidabile nell’uso quotidiano. Ovviamente è una soluzione da condannare: il risparmio di qualcuno rischia rovinare la passione di tanti.
Terzo, una volta trascritto il CRS sulla carta di circolazione del veicolo, non sarà più necessario rinnovare l’associazione a un club federato; nessun incaricato di club privato potrà mai venire a staccarvi un tagliando dalla carta di circolazione. Quindi, se i costi di iscrizione al club, richiesta del CRS e trascrizione possono annullare la convenienza economica del provvedimento, questo varrà solo per il primo anno; per i successivi il risparmio sarà reale. E chi deciderà di rinnovare l’iscrizione al club di riferimento, lo farà per reale passione automobilistica.
Infine, i benefici sono vincolati all’ottenimento di una certificazione. E qui sta la chiave del problema. Lo stato di conservazione della vettura dovrebbe essere un elemento imprescindibile per l’ottenimento del CRS, quindi ora sta agli enti certificatori, ASI in primis, far sì che questa misura porti i risultati sperati.
Michele Di Mauro