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19^ Ruota d’Oro, il territorio, la gastronomia: il tartufo

by f.mosella
24 Agosto 2015
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La Ruota d’Oro, gara di regolarità ASI, sarà al via i giorni 12 e 13 settembre prossimi, con la sua 19^ edizione.

Come di consueto, anche quest’anno è stato ideato un nuovo percorso, che dai monti della passata edizione, poterà i partecipanti lungo le altalenanti strade collinari delle Langhe cuneesi, terra di buon cibo, di ottimo vino e di magnifici panorami, recentemente inseriti dall’UNESCO tra i tesori dell’umanità, per soddisfare sia i meno avvezzi al cronometro, che potranno quindi unire il divertissement al clima informale che offre questa manifestazione, sia le esigenze dei più agguerriti gentlemen drivers, che avranno una ragione in più per partecipare, visto che la manifestazione potrà dimostrarsi decisiva per l’assegnazione del 4° Criterium delle Alpi

Complessivamente saranno 71 le prove cronometrate, ritmate e dinamiche, così da rendere ancora più avvincente la manifestazione, lungo i 280 km totali, suddivisi in due tappe, la prima il sabato con partenza da Cuneo, arrivo a Castagnito e, a seguire, un’inedita appendice notturna nella centralissima Piazza Rossetti ad Alba; mentre domenica il percorso di ritorno Cuneo, per terminare la manifestazione nella suggestiva cornice di Piazza Galimberti.

L’organizzazione ricorda però che il numero massimo di vetture ammesse è 60, quindi sollecita i ritardatari a completare l’iscrizione il più presto possibile onde evitare l’esclusione …… la gara migliore, corsa dai migliori ….. vuoi mancare proprio tu?

Intanto nell’attesa, visto che saremo tutti, nella “patria” del tartufo, scopriamone insieme la storia ed origini, per l’aroma ed il sapore, dovrete venire…..alla Ruota d’Oro!!!

Il tartufo e’ un frutto della terra conosciuto dai tempi piu’ antichi. Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700 – 1600 a.C.
I greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi) oppure Idra ,i latini lo denominavano Tuber, dal verbo tumere(gonfiare),gli arabi Ramech Alchamech Tufus oppure Tomer e Kemas, gli spagnoli Turma de tierra o cadilla de tierra, i francesi truffe (derivante dal significato di frode collegato alla rappresentazione teatrale di Molière “Tartufe”del 1664, gli inglesi Truffle, infine i tedeschi Hirstbrunst,oppure Truffel.
Gli antichi Sumeri utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape, gli antichi ateniesi si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. Plinio il Vecchio nel libro della Hystoria Naturale ci narra la storia di un pretore, tale Lartio Licinio, che si trovò nella situazione di emettere una sentenza che gli creava un enorme imbarazzo. Un ricco cittadino chiedeva un risarcimento da una persona che gli aveva donato un tartufo contenente una moneta che gli si rivelò solo quando addentato il tartufo gli si spezzarono i denti incisivi.L’opinione del Plinio nella sua veste di naturalista era che il tartufo “sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare”.
Plutarco azzardò l’affermazione alquanto originale che il “Tubero” nasceva dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Simili teorie erano condivise o contestate da (tra i più noti) Plinio, Marziale, Giovenale e Galeno ed avevano come unico risultato lunghe diatribe. Non essendo quindi ancora stabilita l’origine dei tartufi, la scienza unita alle credenze popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non si sapeva definire se fosse una pianta o un animale. Oppure venne definito come una escrescenza degenerativa del terreno, più in la’ addiritura cibo del diavolo o delle streghe.

Si credeva che contenesse veleni che portavano alla morte. Ma il rischio di avvelenamento non era collegato all’organismo tartufo in sè, ma al luogo in cui cresceva, quindi la possibile vicinanza nel terreno di nidi di serpi,tane di animali velenosi, ferri arrugginiti e cadaveri.

Infatti il Guainero nel suo manuale “Pratica Medicinae” tratta tra gli altri argomenti gli avvelenamenti da funghi e da tartufi e dopo aver descritto in modo dettagliato le sofferenze riportate dall’intossicazione, consiglia di far cuocere i funghi e quindi anche i tartufi con delle pere che secondo questa teoria avrebbero assorbito i veleni.
In realtà la validità di questa pratica non è da attribuire all’azione delle pere ma al semplice fatto che i funghi contengono sostanze tossiche termolabili ad una temperatura pari a 60-70 gradi centigradi ed in questo modo la cottura permette di eliminarle completamente. Altre ricette ci vengono fornite da Dioscoride che nella sua opera “Sulla materia medica” suggeriva per l’avvelenamento da funghi l’aceto, pozioni salate e sterco di pollo. Il primo trattato unicamente dedicato al tartufo risale al MDLXIIII scritto da Alfonso Ciccarelli medico umbro.

Un unico episodio nella storia del tartufo collegata ad una morte probabilmente per congestione è riportata da un cronista del 1368. Si parla del duca di Clarence,figlio di Edoardo III Plantageneto giunto in visita ad Alba che dopo un abbondante banchetto comprendente tra le altre cose il suddetto tartufo”…Grande copia di trifole havendo manducato per modo di pane, volse con vini diversi donare refrigerio alle interiora, hautene un forte calore que lo addusse a trapasso” . Diversamente procedeva invece la storia gastronomica del tartufo perché non c’era teoria scientifica o no che ne limitasse l’uso in cucina. E’ noto che papa Gregorio IV ne fece largo uso ufficialmente per compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Sant’Ambrogio ringraziava il vescovo di COMO San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti. Nell’Europa del passato il tartufo era anche chiamato “aglio del ricco” per il suo leggero sentore agliaceo e naturalmente perchè se ne trovavano in abbondanza. In Piemonte se ne fa un consumo rilevante intorno al XVII secolo ad imitazione della Francia. C’é anche da aggiungere che i tartufi in questione non erano quelli neri per lo più utilizzati per farcire carni e pesci, ma i tartufi bianchi di cui se ne faceva un impiego massiccio.

Nel ‘700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle cose più pregiate. La ricerca del tartufo costituiva un divertimento di palazzo per cui gli ospiti e ambasciatori stranieri a Torino erano invitati ad assistervi. Da qui forse nasce l’usanza dell’utilizzo di un animale elegante come il cane per la cerca. Tra la fine del XVII ed inizio del XVIII sec. i sovrani Italiani Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III si prodigavano in vere e proprie battute di raccolta. Un episodio interessante riguarda una spedizione tartufiera avvenuta nel 1751 organizzata per l’appunto da Carlo Emanuele III nella Casa Reale d’Inghilterra nel tentativo di tartufizzare la cucina britannica. In quel frangente furono trovati tartufi nel suolo Inglese ma di valore estremamente inferiore a quelli Piemontesi.

Il Conte Camillo Benso di Cavour nelle sue attività politiche utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico, Gioacchino Rossini lo definì “Il Mozart dei funghi”, lord Byron lo teneva sulla scrivania perché il suo profumo gli destasse la creatività, Alexandre Dumas lo definì il Sancta Santorum della tavola.(continua)

Ma arriviamo ai giorni nostri, per parlare di un personaggio che diventerà una pietra miliare nella storia del tartufo ovvero Giacomo Morra, albergatore e ristoratore di Alba.

Egli intuì la possibilità di rendere il Tartufo un oggetto di culto a livello internazionale dandogli un nome “Tartufo d’Alba” e collegandolo a un evento di richiamo turistico e enogastronomico. Nel 1949 egli ebbe la brillante idea di regalare il miglior esemplare raccolto quell’anno alla famosissima attrice Rita Haywort. Quell’episodio non era destinato ad essere unico, perchè da allora in poi quasi tutti gli anni verranno inviati preziosi tartufi a personaggi di rilievo internazionale. Tra tutti i personaggi ricordiamo: il Presidente degli Stati Uniti Harry Truman nel 1951; Winston Churchill nel 1953; Joe Di Maggio e Marylin Monroe Nel 1954; L’Imperatore d’Etiopia Hailè Selassiè nel 1955; il Presidente degli Usa Eisenhover e Nikita Krusciov nel 1959; Papa Paolo VI nel 1965.Seguono ancora Ercole Baldini campione di ciclismo, Sofia Loren, Alfred Hitckcok, l’equipaggio di “Azzurra”, Papa Giovanni Paolo II, Ronald Regan, Gianni Agnelli, Gorbaciov, Luciano Pavarotti, Valentino, il Principe Alberto di Monaco, Valeria Marini.
Il tartufo è un fungo che vive sottoterra, a forma di tubero costituito da una massa carnosa,detta “gleba”, rivestita da una sorta di corteccia chiamata “peridio”. E’ classificato in diverse specie: il “Magnatum pico”nome volgare tartufo bianco, il”Melanosporum Vit” nome volgare tartufo nero, l’ “albidum” nome volgare bianchetto, l’ “aestivum” nome volgare scorzone, il “brumale” nome volgare tartufo invernale.

Il tartufo è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Infatti nasce e si sviluppa vicino alle radici di alberi principalmente quelle del pioppo, del tiglio, della quercia e del salice, diventando dopo la formazione un vero e proprio parassita. Le caratteristiche di colorazione, sapore e profumo dei tartufi saranno determinate dal tipo di alberi presso i quali essi si svilupperanno. Ad esempio i tartufi che crescono nei pressi della quercia,avranno un profumo più pregnante, mentre quelli vicino ai tigli saranno più chiari ed aromatici. La forma, invece dipenderà dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio,se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio.

Correva l’anno 1929 quando per la prima volta Giacomo Morra fece il primo tentativo di pubblicizzare il tartufo all’interno della già consacrata Fiera d’Alba con una esposizione dei migliori tartufi raccolti ed ottenne un tale successo che si decise di farne una costante all’interno delle Feste vendemmiali. Naturalmente la manifestazione negli anni successivi destò sempre più interesse richiamando personaggi di alto livello nazionale. Nel 1930 The Observer si occupò con un esteso articolo della Fiera di Alba ed in particolare del tartufo. Nel 1932 Pinot Gallizio artista Albese fonda il “Palio degli Asini”. Nel 1933 ufficialmente la Fiera d’Alba viene denominata “Fiera del Tartufo” e per la prima volta i vini locali come il Barolo, il Barbaresco e l’Asti Spumante si affiancarono al prodotto tartufo. Nel 1936 la VIII Fiera del Tartufo fu inaugurata da Umberto di Savoia e nel ’37 da Pietro Badoglio. nel 1942 la Fiera durò solo tre giorni e venne sospesa a causa della guerra. Si riparte quindi nel 1945 ed il costo dei tartufi era salito a 3000 al Kg. Dagli anni ’50 in poi la Fiera mantiene il compito specifico di promuovere a livello internazionale le nuove industrie albesi, lo sviluppo delle attività commmerciali, l’artigianato, l’agricoltura e i suoi prodotti. Le manifestazioni collaterali alla fiera assunsero una notevole importanza ad esempio con l’organizzazione di concorsi di pittura che portarono ad Alba grandi pittori come Menzio, Paulucci e Solavaggione. Nel 1967 venne ricostituito il Palio degli asini dando vita alle rievocazioni medievali della Giostra delle Cento Torri.

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