La corsa venne ideata come gara unica, organizzata dal conte Aymo Maggi con l’aiuto di Renzo Castagneto, dotato di ottime capacità organizzative e finanziata da Franco Mazzotti, in risposta alla mancata assegnazione a Brescia, loro città natale, del Gran Premio d’Italia.
Fu scelto un percorso a forma di “otto” da Brescia a Roma e ritorno, su una distanza di circa 1.600 km, distanza corrispondente a circa mille miglia. Solo dopo la fine della prima Mille Miglia si decise, visto l’enorme successo, di ripetere la prova negli anni a venire.
La prima edizione partì il 26 marzo 1927, con la partecipazione di settantasette equipaggi, di cui solo due stranieri, al volante delle piccole Peugeot 5 HP spider. Ventidue vetture furono costrette al ritiro e cinquantacinque portarono a termine la corsa. I vincitori – Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi – a bordo di una OM, completarono il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi e 1/5 alla media di km/h 77,238.
Il 1938 fu segnato da un grave incidente subito dopo Bologna. Una Lancia Aprilia, infatti, uscì di strada e finì sulla folla uccidendo dieci spettatori, tra cui sette bambini. Altre ventitré persone restarono ferite. Le cause dell’incidente non furono mai del tutto chiarite, però il funesto accadimento, portò il governo italiano, a decidere di non concedere più l’autorizzazione per gare di corsa su strade pubbliche.
Nel 1940 si riesce ad organizzare una nuova gara, ufficialmente denominata Gran Premio di Brescia, che consisteva in una corsa a circuito triangolare che toccava le città di Brescia, Mantova e Cremona. Si pensò creando un circuito, di strutturare la prova, percorrendo nove giri in modo da raggiungere la lunghezza di circa 1000 miglia.
Poi arrivò la seconda guerra mondiale ed ovviamente, dal 1941 al 1946, la gara andò in letargo, per ritornare alle 14.00 del 21 giugno 1947 con la vittoria di Biondetti in coppia con Romano sulla fantastica “Alfa Romeo 8C 2900B Touring”, con il tempo di 16 ore 16 minuti e 39 secondi.
Ma per il record assoluto, bisogna attendere il 1955, quando Sir Stirling Moss, percorse il percorso Mille Miglia in 10 ore e 8 minuti, al volante di una Mercedes-Benz 300 SLR numero 722. Si narra che il suo navigatore Denis Jenkinson compì una ricognizione del percorso, annotandone le caratteristiche su un rotolo di carta lungo quattro metri e mezzo che usò per dirigere Moss durante la gara.
I numeri di gara, in quegli anni, indicavano l’orario di partenza dell’equipaggio.
Nel 1957, la Mille Miglia è al suo epilogo, nei pressi di Guidizzolo, in provincia di Mantova, il pilota Ferrari Alfonso De Portago, a causa dello scoppio di una gomma, perde il controllo della sua Ferrari, esce di strada e uccide 9 spettatori, De Portago e il suo navigatore Nelson, perdono anch’essi al vita, ad accrescere il tributo di sangue sulla “storia” della Mille Miglia.
La corsa venne definitivamente sospesa e per la Mille Miglia fu il canto del cigno.
A seguito dell’incidente, ci furono polemiche e tentativi vani di ricostruire i fatti, che mai furono chiariti definitivamente e le responsabilità, attribuite all’epoca ad Enzo Ferrari, non furono provate, ma tanto fu la cassa di risonanza dell’accaduto, che ancora oggi, si scrive in merito a questo episodio che segnò indelebilmente la vita della Mille Miglia.
L’Automobile Club di Brescia effettuò un tentativo per dare continuità alla corsa e nel 1958, nel 1959 e nel 1961, di fronte alla irremovibilità delle autorità che non concessero i nulla-osta necessari per le corse di velocità su strada, organizzò tre edizioni ancora denominate Mille Miglia ma disputate secondo una formula che prevedeva brevi tratti di velocità alternati a lunghe tratte di trasferimento da percorrere alla velocità media di 50 km/h.
Di fronte all’ostracismo decretato da parte della Commissione interministeriale e anche dall’opinione pubblica aizzata dopo l’incidente di De Portago, da quella stessa stampa che fino al giorno prima aveva esageratamente esaltato la corsa, gli organizzatori bresciani, nonostante insistessero nel chiedere una Mille Miglia di velocità, si videro costretti a trasformarla in gara di regolarità con tratti a velocità libera sul tipo di quella che era stata in passato da noi la Stella Alpina.
Le tre Mille Miglia disputate nel 1958, 1959 e 1961, pur conservando il nome e approssimativamente la medesima distanza da percorrere, ma senza un numero d’ordine e il tributo a Franco Mazzotti, si presentavano completamente differenti da quelle che l’avevano precedute.
Dei “quattro moschettieri” era rimasto il solo Renzo Castagneto, assieme al sindaco Bruno Boni che si era battuto per la ripresa della gara nel 1947: Aymo Maggi, che già era entrato in profondo contrasto con Castagneto per l’anomala edizione del 1940 per il mancato rispetto della formula congegnata quel lontano giorno di dicembre del 1926, si era dimesso con Giovanni Canestrini dalla Commissione sportiva per protesta:
“Io non prenderò mai in considerazione niente di diverso da una corsa di velocità su strada”, ebbe a dire il Conte contro le decisioni del patron Castagneto; poi nel 1959 subì il primo infarto e nel 1961 il secondo che ne causò la morte.
Probabilmente Maggi aveva ragione. Forse era passato troppo poco tempo e il ricordo era ancora troppo vivo per battezzare con lo stesso nome una manifestazione che condivideva con l’originale solo il luogo di partenza e di arrivo, ma neppure il percorso, oltre al direttore di gara con la sua lobbia e la bandiera a scacchi.
Il poco pubblico sulle strade rimase indifferente alla nuova Mille Miglia forse per la mortificante formula che si era dovuta adottare: mancava lo spettacolarità offerta dalle vetture della categoria Sport in piena velocità sulla strada davanti a casa, rimanendo solo il consueto traffico nel quale si era intrufolata qualche vettura dall’aspetto comune, solo più rumorosa e con i numeri sulle fiancate, costretta a viaggiare in colonna alla media imposta di 50km/h e nel pieno rispetto del Codice della strada. Nulla ricordava agli spettatori che stavano assistendo al passaggio della Mille Miglia e non dell’Economy Run, in quanto anche gli equipaggi avevano l’obbligo di indossare i caschi solo alla partenza delle prove di velocità.
Anche la qualità delle vetture partecipanti fu modesta, anche se la gara bresciana aveva “tuttavia attirato anche una certa partecipazione straniera ufficiale, tendente a conquistare una gloriuzza facile, equivocamente legata, agli effetti pubblicitari, con la grande tradizione”, commentava sarcasticamente Giovanni Lurani dall’alto delle sue sette Mille Miglia di velocità concluse con un nono e un decimo posto nella classifica assoluta, conquistati rispettivamente nel 1932 e nel 1938, e tre vittorie di classe nel 1933, nel 1948 e nel 1952 come migliori risultati.
Mancarono anche i concorrenti, “nonostante l’abbondante dotazione di premi, esagerata per una gara di questo tipo, il numero e la qualità dei partecipanti” commentava ancora il conte Lurani dopo l’edizione del 1958.
Neppure si poteva dar torto ai piloti, sia per la sovrapposizione di date, specie nel 1958 per il disinteresse anche della Csai, con altre manifestazioni valide per qualche titolo nazionale o internazionale, sia per la eccessiva lunghezza delle massacranti marce di trasferimento rispetto alle prove di velocità, che dal solo 5% del percorso totale con 8 prove speciali nel 1958, passò progressivamente al 13% distribuito su 9 prove nel 1959 e quindi a quasi il 25% sempre su 9 prove nel 1961.
Arriva il momento delle polemiche:
“Forse è perché non s’è ammazzato nessuno — commentava il quasi settantenne direttore di gara— che si parla poco della Mille Miglia» dopo l’ennesimo insuccesso del 1961.
“I nuovi dirigenti dell’Automobile Club di Brescia, quasi tutti ottimi uomini d’affari, dovrebbero convincersi, che, nell’era moderna, non si vendono nemmeno i dentifrici senza un’acconcia preparazione propagandistica” ribatteva «Auto italiana sport», erede di quella «Auto italiana» che nel dicembre del 1926, assieme alla «Gazzetta dello sport» aveva iniziato a battere la grancassa e a soffiare nelle trombe annunciando la prima Coppa delle 1000 Miglia della primavera successiva.
Scriveva Enzo Ferrari nel 1959:
“La Mille Miglia non è quella dello scorso anno né quella odierna; ambedue, coercite nello stato di necessità nel quale i promotori hanno dovuto agire, rappresentano un commovente atto di fede nei confronti di una tradizione, meglio, di un’idea che non si poteva né si doveva cancellare .
La Mille Miglia creò una nuova tecnica automobilistica che generò quelle macchine di concezione italiana che oggi vengono esportate in tutto il mondo costituendo un vantaggio per la nostra economia ed un titolo di merito per il lavoro italiano.”
Castagneto morì a San Remo nel 1971, dove si era ritirato dopo aver sventolato nel 1968 un’ultima volta la sua bandiera scacchi con in testa la sua storica bombetta, miracolosamente riapparsa, sul traguardo di viale Venezia delle Mille Miglia, così ribattezzato l’anno prima, al termine della “Rievocazione di undici vittorie Alfa Romeo alla Mille Miglia”, una manifestazione non competitiva che in quattro tappe, di un giorno ciascuna, aveva portato da Brescia a Roma e quindi di nuovo a Brescia una ventina di vetture d’epoca del tipo 1750, vincitrici alla MM nel 1929 e nel 1930, e altrettante nuove berline 1750 che la Casa del Portello stava lanciando sul mercato.
Così commentava l’evento «Auto italiana», ritornata al suo nome originale:
“Anche questo è stato un aspetto positivo della manifestazione dell’Alfa Romeo poiché attraverso questi discorsi la Mille Miglia è apparsa attuale e ancora oggi in grado di risvegliare il tifo di allora. Una corsa che non è mai morta, più viva che mai anche se, purtroppo, è soltanto un bellissimo sogno quello di poterla ripetere non come manifestazione rievocativa ma come gara vera e propria.”
Fu un grande successo di pubblico e probabilmente gettò l’idea della attuale rievocazione, nata per celebrare il cinquantenario della prima edizione della gara di velocità nel 1977, due anni dopo la morte anche di Giovanni Canestrini.
Ognuno di noi ha il suo pensiero e opinione, ma il fascino della Mille Miglia, rimane tutt’ora indiscusso.
Il marchio Mille Miglia è di proprietà dell’Automobil Club Brescia
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