Tutti gli appassionati ne parlano o l’hanno sentita nominare almeno qualche volta. Pochi sanno davvero cosa fosse, confusi da una miriade di voci e da tante, troppe foto di repliche erroneamente attribuite all’originale.
Per chi non ne conoscesse la storia, la Jota (pronunciato “Hota”, alla spagnola) non era una comune Lamborghini Miura, e nemmeno una serie limitata. Ideata e sviluppata dal famoso ingegnere, meccanico e collaudatore neozelandese Bob Wallace, doveva diventare la versione più pura ed estrema di Miura.
Modello che, lo ricordiamo, ebbe il merito di scolpire definitivamente il nome Lamborghini tra i marchi di supercar più prestigiosi al mondo.
Più leggera e potente di qualsiasi altra Miura costruita fino ad allora, la Jota fu una sorta di vettura laboratorio costruita partendo dal telaio n.5084. Il nome, corrispondente alla pronuncia esatta della lettera spagnola “J”, non indicava stavolta una razza di tori bensì la categoria del regolamento internazionale FIA presa a riferimento per le modifiche.
Tra queste, una drastica riduzione del peso e un migliore bilanciamento delle masse, grazie all’utilizzo di plexiglass per i trasparenti e Avional per la carrozzeria, un nuovo assetto ribassato ed irrigidito e un abitacolo ridotto davvero all’essenziale.
La meccanica, ovviamente elaborata, fu spinta fino a una potenza massima di 440 Cv, chiamati a spingere soltanto 800 chili di peso; le prestazioni, stimate, si attestavano abbondantemente oltre i 300 km/h di velocità massima con uno scatto da zero a cento all’ora in meno di 4 secondi.
Una ricetta impegnativa per rendere ancora più estrema una vettura che già di base richiedeva abilità di guida ben oltre la media dei suoi acquirenti. Il tutto, abbinato a costi esorbitanti di preparazione, portò ad annullare il programma di sviluppo per la produzione in serie.
Ma, si sa, per gli oggetti più estremi e irraggiungibili c’è sempre un pubblico, e le pressanti richieste della clientela indussero Lamborghini a deliberare la produzione di alcuni esemplari su base Miura SV ispirati alla Jota, ma dotati di finiture e comfort migliori. Erano le Miura SVJ.
L’originale invece, dopo una approfondita fase di test, venne ceduta ad un privato, che a sua volta lo rivendette all’allora titolare della scuderia Brescia Corse, che però pare non abbia mai avuto il piacere di guidarla: poco prima della consegna infatti, la Jota finì distrutta e bruciata in un pauroso incidente.
Dopo di lei, si stima siano stati allestiti all’epoca in fabbrica appena 6 esemplari con specifiche Jota su base SV ed SVJ, mentre sarebbero almeno una decina, se non oltre, le repliche realizzate negli anni successivi. Ma la Jota, quella vera, purtroppo non esiste più.