Arrivano due notizie interessanti dal celebre Concours d’Elegance, tenutosi pochi giorni fa sulla costa californiana. E generano più di qualche spunto di riflessione
Per la prima volta nella storia del più prestigioso degli appuntamenti della Monterey Car Week, il titolo di “Best of Show” è andato a un’auto visibilmente mai restaurata: la ben nota Bugatti Type 59 Sports appartenuta al re del Belgio Leopoldo III e oggi parte della svizzera Pearl Collection.
Negli ultimi anni la vettura è finita spesso sotto i riflettori: battuta all’asta da Gooding & Co. nel 2020 per l’equivalente di oltre 11 milioni di euro e premiata dalla FIVA al Concorso d’Eleganza Villa d’Este del 2022 come miglior conservato anteguerra, essa mette una pietra tombale sull’esaltazione, tutta americana, delle auto classiche over-restored, ovvero ricostruite in maniera talmente profonda da diventare “più nuove del nuovo”, con livelli di finitura e lucentezza visti nemmeno in fabbrica, mettendo in crisi lo stesso concetto di “restauro fedele all’originale”.
Conservato da corsa, l’ultimo tabu
Sicuramente affascinante con tutti i suoi segni del tempo, la “59” ha sbaragliato la concorrenza con “l’umanità” dei suoi strati di vernice e delle sue cromature screpolate, delle lamiere segnate e ammaccate, dei legni e delle pelli consumati da piloti famosi e teste coronate. Cicatrici conquistate sul campo, che testimoniano una storia unica e illustre e, in quanto tali, da mostrare con orgoglio. Il valore del conservato in Europa è riconosciuto da tempo, finalmente anche gli americani dimostrano di apprezzarlo; come è stato ricordato anche durante la premiazione, un’auto può essere restaurata molte volte, ma può essere originale una volta sola. Preservare la storia del motorismo, lo dice la parola stessa, vuol dire raccontare storie. E poche auto raccontano la propria meglio della Bugatti presentata da Fritz Burkard, che abbatte pure un altro tabu del concorso californiano: seppur trasformata in auto “sportiva” direttamente in fabbrica (altra unicità dell’esemplare), essa nasce infatti come auto da corsa. Mai una “racer” aveva vinto il “Best of Show” sui prati del Golf Club californiano.
La seconda notizia è che, a competere per il titolo, c’era un’altra candidata decisamente fuori dagli schemi: la visionaria Lancia Stratos Zero disegnata da Marcello Gandini, concept car bandiera del “wedge design” e in assoluto tra le più celebri degli anni 70, pure già vista a Villa d’Este. Se avesse vinto avrebbe probabilmente fatto più sensazione della Bugatti, ma trovarla in finale è già di per sé una notizia. A chiudere la rosa delle candidate, due scelte decisamente più canoniche: Talbot-Lago T26 Grand Sport Saoutchik Fastback Coupé del 1948 e Packard 1108 Twelve LeBaron Sport Phaeton del 1934. Bellissime ma, se l’avesse spuntata una di esse, probabilmente ora non saremmo qui a scriverne.
Cosa ne pensiamo
Premesso che, come Adrenaline24h, siamo assolutamente favorevoli a questo tipo di approccio, e ben lieti che anche oltreoceano si sia finalmente e platealmente riconosciuto il valore dei veicoli conservati, l’esito del “Concours” di quest’anno può essere letto in diversi modi. Qualunque sia stato il motivo alla base di questo cambio di filosofia (ce lo domandiamo), sicuramente apre degli interrogativi, da affrontare sempre e comunque dando loro il giusto peso: ricordiamo sempre che questo è un grande, ricco e impegnativo gioco, da vivere con responsabilità ma anche con la dovuta leggerezza, ricordando, prima di ogni altra cosa, che l’obbiettivo finale resta preservare la storia e generare passione e connessioni condivise. Anche se gli interessi in gioco sono tanti, e in qualche misura condizionano, ed è inevitabile, selezioni, giudizi e passerelle.
Concorsi come quelli citati, al di qua e al di là dell’oceano, sono tradizionalmente definiti “d’eleganza”. Che una Talbot-Lago o una Packard come le due finaliste possano essere definite eleganti, c’è oggettivamente poco da discutere. Nel caso della Bugatti o della Stratos Zero invece, la parola “elegante” assume decisamente un’altra accezione, e di certo non è il primo aggettivo che viene in mente. Trovare in finale quattro auto tanto diverse porta inevitabilmente alla necessità di ridefinire il concetto di eleganza, sia per preservare l’identità stessa dei concorsi, sia per chiarirne la missione a chi, ogni anno, sceglie con sacrificio di candidare la propria vettura. Certo, esistono le classi specifiche coi relativi premi ma, si sa, il titolo di “Best of Show” riassume, per quanto possibile, il focus e la filosofia stessi dell’evento. E nel caso di appuntamenti di rilevanza internazionale, come Pebble Beach, questo spesso significa anche condizionare gusti e tendenze del collezionismo, del restauro e, di conseguenza, del mercato.
Anche al Concorso d’Eleganza di Villa d’Este, evento che contende a Pebble Beach la palma di più prestigioso al mondo, lo scorso maggio ha vinto una favolosa Alfa Romeo non restaurata. Ma in Europa, lo abbiamo detto, siamo più avvezzi a risultati di questo tipo.
“Resta da capire se il sasso nello stagno lanciato a Monterey resterà un caso isolato o rafforzerà una nuova tendenza che ridefinirà inevitabilmente i parametri del collezionismo di fascia alta, condizionando anche il collezionismo italiano, grande assente di questa edizione – commenta il nostro co-fondatore Ermanno De Angelis – la cui unica rappresentanza è stata quella di ASI, presente a Pebble Beach con una vettura della collezione Bertone. Per il passato da protagonista nell’ingegneria, nello stile e nelle corse, l’Italia dovrebbe essere in prima fila a livello mondiale nel determinare l’andamento e lo sviluppo futuro di questo grande movimento. Spiace vederla relegata a mero ruolo di partecipante”.