Silvia, che si scrive come il nome femminile italiano ma che in giapponese suona abbastanza diverso, è il nome di una dinastia di coupé sportive a marchio Nissan decisamente longeva, nata nel 1964 e prodotta per circa quarant’anni.
Il modello Silvia debutta al salone dell’automobile di Tokyo del 1964. La vettura è una coupé basata sulla piccola spider Datsun Fairlady. Datsun è un marchio di proprietà di Nissan, e infatti la nuova vettura viene commercializzata anche come Datsun Coupé 1600.
La nostra attenzione si concentra proprio su questa prima serie, conosciuta anche con la sigla CSP311. Rara e ambita dai collezionisti di vetture del sol levante, viene prodotta semi artigianalmente fino al 1968 in appena 554 esemplari, quasi tutti destinati al mercato interno.
La produzione a mano di interni e carrozzeria rendeva infatti la vettura particolarmente costosa, al punto che il modello successivo costerà un prezzo prossimo alla metà della CSP311. Il motore, lo stesso della Fairlady, è un vivace 1.6 a doppio carburatore da 96 cavalli.
Perché ci incuriosisce tanto questa giapponese così rara? Perché, praticamente negli stessi anni, andava in produzione in Italia una vettura incredibilmente somigliante alla Silvia, ma che conoscerà ben altro successo e ben altri volumi di produzione: la Lancia Fulvia Coupé.
Cilindrata comune, dimensioni simili, due nomi di donna e persino una carriera sportiva per entrambe, nonostante i numeri esigui di produzione della coupé nipponica. Ma quello che salta subito all’occhio è lo stile da carta carbone, nonostante le due vetture nascano ai capi opposti del globo. Analizziamolo rapidamente.
Sul frontale, a “prua” con uno spigolo centrale, troviamo una calandra a listelli orizzontali, larga e bassa, fari gemellati e il cofano motore che chiude con una lunga smussatura verso il basso. Su entrambe.
La linea orizzontale che marca quello stesso smusso, gira sulle fiancate, spezzando orizzontalmente in due la luce sulla fiancata, fino alla coda, dove troviamo due fanalini orizzontali dalla forma sottile e pulita. Su entrambe.
Anche il padiglione è sorprendentemente somigliante: corto e “appoggiato” alla vettura, ha un profilo quasi simmetrico, col lunotto di inclinazione simile al parabrezza, ed è chiuso subito dopo la portiera (con deflettore) da un finestrino perfettamente triangolare. Il risultato è un profilo che ricorda da vicino quello di un piccolo motoscafo sportivo. Per entrambe.
Orgoglio patriottico a parte, possiamo dire che ad oggi la Silvia CSP311 è una delle sportive giapponesi stilisticamente e collezionisticamente più interessanti. E, a onor del vero, è uscita prima della sosia torinese. La quale, come ogni appassionato sa, avrà tutt’altro futuro.